Portatori di Storie simvastatin dosage. Da vicino nessuno è normale (2012) è una tra le ultime opere del collettivo milanese Studio Azzurro, che oramai da trent’anni esplora le possibilità poetiche ed espressive delle nuove culture tecnologiche. Ad un anno di distanza dalla morte del suo fondatore, Paolo Rosa, l’opera Portatori di storie. Da vicino nessuno è normale ci comunica una nuova possibilità di fare un’opera d’arte, in cui, all’individualismo dilagante di gran parte della produzione artistica contemporanea, che comunica spesso solo con gli «esperti del settore», si contrappone un artista collettivo in grado di collaborare con gli enti, le strutture e le risorse presenti in un territorio. Nel dicembre 2010 Studio Azzurro realizza insieme agli operatori dell’UOS Centro Studi e Ricerche ASL Roma E, al Dipartimento Salute Mentale, ai pazienti, ai familiari e agli operatori una raccolta di cinquanta testimonianze sui percorsi di cura e di promozione della salute mentale. Questo materiale è fruibile grazie all’istallazione che si trova nella Biblioteca Cencelli dell’Ospedale psichiatrico Santa Maria della Pietà a Roma nel quartiere di Monte Mario e racconta il lavoro sulla salute mentale che Studio Azzurro aveva iniziato nel 2010 con il Museo della Mente (ubicato nel padiglione 6 della suddetta struttura). L’allestimento si distribuisce lungo una parete, una sorta di touch wall, in cui i personaggi intervistati si muovono come ologrammi nello spazio e interagiscono solo quando lo spettatore decide di stabilire un contatto con loro. In questa fase il soggetto dell’istallazione pronuncia una frase emblematica della sua testimonianza; soltanto se lo spettatore è incuriosito dalla frase, può decidere di portare con sé il personaggio scelto, fino ad una stanzetta adiacente, dove potrà approfondire l’argomento attraverso la testimonianza. Le dichiarazioni dei Portatori di Storie introducono lo spettatore nella materia della difficoltà psichica attraverso un linguaggio gergale e, a tratti, poco comprensibile; vengono raccontate esperienze comuni, ricordi semplici, piccole soddisfazioni che riguardano il vissuto comune di pazienti, dei familiari, degli operatori, degli assistenti sociali e dei curatori. Le interviste dei Portatori di Storie fanno emergere le modalità in cui vengono affrontate determinate patologie all’interno di un gruppo territoriale che comprende sia persone che hanno lavorato o che sono stati pazienti al Santa Maria della Pietà, sia soggetti che si trovano ad affrontare quotidianamente il tema del disagio mentale. Lo spettatore viene invitato a riflettere su come viene affrontata la malattia mentale prima della legge Basaglia (con il Museo della Mente che riproduce gli stigmi dei rinchiusi in manicomio) e adesso (attraverso le testimonianze). L’immagine filmica, che fin dagli anni novanta entra a far parte dello spazio museale e che determina un nuovo allestimento dello spazio stesso, comporta che lo spettatore venga inserito all’interno di una dimensione incoativa, ovvero viene messo di fronte a qualcosa che appare, egli contempla e attende l’evento e l’apparire dell’immagine, in cui l’invisibile viene reso visibile. Nonostante ciò lo spettatore viene messo a debita distanza dall’immagine, nella logica del «guardare e non toccare». In questo nuova concezione dello spazio museale il modello cinematografico e quello esibitivo- museale tendono a convergere, tuttavia lo spettatore, avvolto dall’immagine si disloca liberamente in più luoghi, ma rimane pur sempre passivo. La poetica di Studio Azzurro sembra dare una soluzione a questo problema arrivando ad attualizzare quella dimensione incoativa, in cui allo spettatore viene chiesto, non solo di essere complice dell’evento dello sguardo, ma anche di agire attraverso il gesto del toccare, affinché sia lui il responsabile dell’apparire delle immagini. Senza protesi ma con l’utilizzo delle mani che attivano gli ambienti sensibili, il visitatore del museo entra così in un mondo narrativo che si estende su piattaforme multimediali; addentrandosi nella storia ed esplorando diversi aspetti del personaggio e degli avvenimenti, non solo ha la possibilità di scegliere le storie ma anche di condizionarne gli svolgimenti. Lo spettatore si trova così ad interagire con quella che viene definita narrazione intermediale e la sua esperienza risulta unica in una dimensione di ascolto. All’interno dell’istallazione il visitatore interagisce con i personaggi con i quali si sente attratto secondo un ordine soggettivo e individuale, andando a creare così nella memoria mediale una mappa fatta di azioni e di gesti. Attraverso la relazione che si va a creare tra opera e soggetto si attiva in quest’ultimo un’immaginazione interattiva, ovvero un’immaginazione critica che riscopre l’immagine non in rapporto alla sua referenza con il mondo ma in base al mezzo utilizzato per raccontarla. L’arte si riappropria del suo significato originario di thecne: non vedrà quest’ultima come un’abilità a lei subordinata ma come uno strumento indispensabile alla pratica artistica. Attraverso questo tipo di arte antro– poietica la memoria e la testimonianza divengono delle mappe per orientarsi nel vasto territorio delle immagini mediali contemporanee che secondo questa interpretazione non potrebbero mai coincidere con se stesse in quanto necessitano costantemente di essere riorganizzate all’interno dell’archivio di quella che viene definita memoria mediale. Attraverso un nuovo modo di concepire l’opera d’arte e lo spazio museale l’utopia di Studio Azzurro è quella di creare un dialogo costante con il territorio e le Università, in cui una fitta rete di relazioni dovrebbero contribuire alla creazione di opere d’arte attive ed utili ad una comunità. [Lucia Moretti]
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