ASCOLTARE IL TEVERE. Viaggio nei nomi di luogo e della natura della Valle del Tevere
di Antonello Lamanna, E. Puletti e P. Salerno (a cura di Antonio Batinti)
Il Fiume è un sistema aperto, in perenne confronto e conflitto con la terra, nella quale da millenni si scava un difficile cammino: l’acqua e la terra interagiscono tra loro in maniera così intima da creare uno stupefacente equilibrio fatto di elementi opposti, una sorta di coincidentia oppositorum.
Tale incontro/scontro tra terra e acqua avviene anche tra il mare e la costa, e tra il lago e la riva. Il Fiume, tuttavia, sembra caratterizzarsi per una maggiore variabilità e imprevedibilità nel confronto tra spazio e tempo. Il Fiume divaga, dilaga, abbandona moltissime volte il suo letto, nel quale, talvolta, ritorna dopo alcuni secoli. Il Fiume è più legato alle cangianti condizioni meteorologiche e climatiche; in estati eccezionalmente siccitose può ridursi ad un modesto torrente, e, viceversa, esondare rovinosamente al di là dei suoi sempre troppo aleatori confini: gli argini. L’acqua del Fiume, in eterno cammino verso il mare, ci parla con un suo “muto” linguaggio, fatto di eloquente silenzio. Il silenzio di fondo è, a volte, improvvisamente rotto ed intramezzato da significativi richiami: isciacquii, sciabordii, scialacquii, fruscii, turbinii, gorgoglii. Tale proteiformità dell’elemento Fiume, tale fluida inafferrabilità hanno determinato il sorgere di tutta una serie di differenti e variegate denominazioni nelle quali sono andati a confluire gli apporti provenienti dalla pluralità di comunità, con diverse culture, che, nel tempo, questo spazio liquido, hanno osservato, utilizzato, mitizzato, denigrato, imbrigliato, umanizzato senza mai sottrarsi ad una malìa, ad un’oscillazione pendolare tra amore viscerale ed eterna diffidenza.
Questo ambiente caratteristico e originale è stato già indagato nell’ambito del progetto ALLI (Atlante Linguistico dei Laghi Italiani) in alcuni aspetti e secondo prospettive di ricerca consone all’impresa geolinguistica ed etnolinguistica sopraddetta che promuove, con approccio interdisciplinare, la conoscenza, la riscoperta e la valorizzazione della civiltà delle acque interne. Dalle indagini condotte ad Umbertide2, uno dei punti nevralgici del fiume, emergono degli elementi che comprovano la presenza di aspetti di continuità nella realtà fisicoculturale delle acque interne, dei fiumi e dei laghi. Il fiume, inoltre, appare, come risulta dall’analisi del lessico relativo, un luogo fisico portatore, nel passato, di una cultura specifica e automotivata, oltre che uno spazio funzionale al mondo economico rurale e urbano. Tra l’altro le informazioni, ottenute dalla preliminare ricerca bibliografica, hanno permesso di delineare un quadro vario e complesso per una lettura dei modelli culturali che insistono in tale spazio.
Nella ricerca, che presentiamo, abbiamo scelto, tra le altre, come principale, una porta di ingresso non usuale: la toponomastica. Gli studi sui nomi di luogo, infatti, permettono una lettura critica del territorio e un ampliamento delle conoscenze sul rapporto dell’uomo con l’ambiente. L’interdisciplinarietà, inoltre, della toponomastica, che si propone come sintesi e compendio di diverse branche del sapere, corrisponde alle nuove esigenze conoscitive e alle urgenti necessità di intervento per recuperare un corretto rapporto. Lo stare e il muoversi in luoghi diventati per noi “estranei”, dal momento che consideriamo (non a parole, ma nei fatti) l’ambiente come oggetto da consumare piuttosto che come luogo da vivere, provoca forme di disagio, che possiamo definire “comunicativo” e “ambientale”. Diventa, pertanto, indispensabile per tutti noi recuperare la capacità di tessere una nuova trama di rapporti. La conoscenza e l’uso dei nomi di luogo ci consentono di superare le forme di “indifferenza territoriale”e di far passare così lo spazio intorno a noi da luogo di passaggio a luogo di esperienza. La costituzione dei Parchi Naturali da parte delle Istituzioni pubbliche può essere considerata come una prima risposta alle drammatiche condizioni conseguenti alla rottura degli equilibri dell’ecosistema, che dovrà essere esaminato nei due sottoinsiemi (l’uomo e l’ambiente) in una visione globale. Il Parco di conseguenza sarà visto non come semplice strumento per proteggere e conservare una porzione di territorio nei suoi aspetti naturalistici, ma come occasione per ridefinirne anche l’identità culturale. La fisionomia di un ambiente “protetto” risulterà dalla ricomposizione equilibrata delle sue componenti: naturalistica e culturale. La “protezione” potrà costituire la fase iniziale di successive scelte e di possibili interventi, così come la toponomastica (fonte di conoscenza storica, geografica e linguistica) la porta iniziale per ulteriori approfondimenti degli aspetti culturali. Le comunità, che vivono nei parchi regionali dell’Umbria4, pertanto, potranno contare sulle specifiche identità culturali, espressioni delle diverse realtà ambientali, e usare queste risorse per la tessitura della trama di collaborazione.
La ricerca è nata dalla lunga e ormai collaudata collaborazione tra i componenti del gruppo di lavoro(coordinato da Antonello Lamanna) che con competenze e curiosità plurime e complementari stanno esplorando da tempo vari indirizzi di ricerca al fine di offrire alcuni contributi per una più adeguata conoscenza della complessa realtà linguistica, culturale e ambientale dell’Umbria, osservata nel quadro dell’Italia mediana. I risultati del lavoro, condotto su fonti orali e scritte con la consultazione di una vasta e varia documentazione e con indagini sul campo in alcuni punti “chiave” del sistema fluviale, sono presentati secondo una rete espositiva che privilegia l’aspetto linguistico (“il nome delle cose” e soprattutto “i nomi di luogo”) nel graduale avvicinamento alla multiforme realtà analizzata e descritta. Le illustrazioni (fotografie, carte,ecc.), inserite a scopo esplicativo, favoriscono alcuni percorsi di lettura. Il contributo per la sua impostazione e articolazione si configura come un lavoro preparatorio per eventuali approfondimenti e per altri tipi di indagini. Nell’analisi dell’ambiente naturale abbiamo messo in risalto quei “nomi della natura” che fanno la specificità di questo “spazio liquido”: dai singolari appellativi delle rupi e degli scoscendimenti più accentuati, ai termini che, da secoli, testimoniano la presenza della fauna e della flora tiberina, dai nomi che designano, spesso in maniera assai ammaliante, le rocce, a quelli che denominano ogni più piccolo corso d’acqua, ogni più effimera sorgente. Ciascun aspetto geomorfologico del Tevere ha il suo nome: valli, vallecole, gole, forre, depressioni, alture appuntite, arrotondate o appiattite al vertice.
Oltre la natura, anche l’uomo ha lasciato le sue impronte, non solo quelle impresse nel limo degli arenili spondali con l’apertura di vie d’accesso, di passi, di guadi, con il dissodamento di vaste superfici un tempo impaludate od inondate, con il rimodellamento del paesaggio naturale, che è stato in più punti “umanizzato” dalla diuturna fatica, ma, soprattutto quelle, ben più fragili, ma tanto più eloquenti e vive, legate alla lingua dei nostri predecessori: i toponimi, appunto. Da quelli relativi alla rete di strade e sentieri che avvolge ovunque il Fiume e la sua valle, a quelli propri delle antiche coltivazioni, molte delle quali ora abbandonate e dimenticate. Dai toponimi connessi con la pastorizia stanziale e transumante, a quelli riferibili all’uso secolare dei boschi da parte di legnaròli e tajjatóri locali. Dai nomi di luogo associati alla guerra ed agli scontri fra diversi popoli e culture, a quelli legati al sacro, sia esso pagano o cristiano.
Una breve sezione è stata dedicata all’analisi storicointerpretativa di quei toponimi, ormai disusati, che abbiamo desunto da fonti archivistiche e bibliografiche di vario genere. L’analisi comparativa di alcuni di essi con quelli ancora in uso, ha permesso
l’individuazione di costanti e regolarità nell’evoluzione fonetica, nonché la messa in evidenza di forme toponimiche “spurie”, cioè inautentiche, che denotano una tradizione linguistica interrotta o, peggio, l’intervento improvvido di persone che, nell’intento di “italianizzare” e “regolarizzare” forme a loro parere scorrette e volgari, hanno letteralmente stravolto l’aspetto originario di diversi toponimi dell’area indagata, producendo dei veri e propri “falsi storici”.
L’analisi dei fenomeni linguistici, testimoniati dalla toponomastica locale, riferibili alle parlate locali del presente e del passato, la comparazione degli elementi di tutta la rete toponimica, che avvolge l’intera area della valle del Tevere in Umbria, un’attenta e reiterata ricognizione del territorio d’indagine con il confronto critico di centinaia di dati toponimici, contenuti in documenti archivistici, cartografici6 e bibliografici, spesso assai rari e di prima acquisizione, hanno permesso una “lettura” approfondita del paesaggio naturale e di quello antropizzato. Sono state avanzate numerose proposte interpretative dell’etimologia dei toponimi, come contributi e non come soluzioni definitive.
Il vasto repertorio di dati su alberi, animali, rocce, suoli, fenomeni meteorologici ed idrogeologici,
storie, leggende, credenze, tradizioni e quant’altro sia relativo alla vita biologica e a quella dell’uomo di fronte agli elementi naturali, costituisce un prezioso strumento d’analisi e di approfondimento su tali argomenti.
Titolo | Ascoltare il Tevere |
Autore | A. Lamanna, E. Puletti, P. Salerno |
Anno | 2000 |
Editore | Era Nuova |